Dott.ssa Augusta Iannini |
Social privacy: due parole che
sembrano inconciliabili. Da una parte il mondo delle tecnologie e delle
pratiche on line che tutti noi utilizziamo ma con diversi livelli di
consapevolezza per condividere contenuti testuali, immagini, video, audio etc.
e di cui nessuno può e vuole fare a meno e rispetto al quale l’atteggiamento è
o di eccessiva familiarità o di analfabetismo culturale. Dall’altra il richiamo
che ognuno di noi sente, quando viene violato il suo diritto ad essere lasciato
in pace,alla propria privacy, che si traduce nel desiderio di veder scomparire
dai motori di ricerca il proprio nome ed i propri fatti.
La circostanza che spesso gli
utenti di internet sono anche dei minori
ha fatto scattare delle forme di protezione che si racchiudono in una
serie di interventi normativi, sia a livello internazionale che nazionale,
molto spesso inefficaci. Inefficaci perché queste piazza virtuali, questi
luoghi di incontro, di confronto e di scontro hanno cambiato la nostra vita ma,
in particolare, hanno cambiato le nostre abitudini di vita e, soprattutto il
concetto di rispetto delle regole. Ed una di queste regole è il rispetto della
propria e dell’altrui riservatezza.
La privacy nei social è il
diritto, in capo a chi utilizza questi mezzi, di controllare che i propri dati
personali (cioè tutte le loro informazioni) vengano trattate correttamente e
con possibilità, per l’interessato, di intervenire e di ripristinare “una
corretta immagine di sé”.Questo significa che chi tratta i miei dati personali
deve informarmi sulle finalità e modalità del trattamento in modo che io possa
esprimere un consenso libero, consapevole,che può essere revocato quando io lo
desidero e senza alcuna giustificazione.
Sono regole semplici. Ma
applicarle al mondo virtuale è problematico perché i social sono strumenti
“planetari” e non è affatto facile azionare i propri diritti ed eseguire i
provvedimenti che si possono ottenere a proprio favore.
I giuristi definiscono questo
problema “giurisdizione”, ovvero il potere di uno Stato di far rispettare le
proprie regole al di fuori dei suoi confini.
I Garanti della privacy hanno
indicato delle prescrizioni ai fornitori di servizi dei social che riguardano,
oltre all’informativa “leale”, le ,impostazioni di default sulla privacy, il
potenziamento delle misure di controllo per impedire gli accessi abusivi ai
profili-utenti da parte dei soggetti terzi, la semplificazione e l’immediatezza
per recedere dal servizio, il consenso per l’indicizzazione dei dati del
proprio profilo etc.
Ma siccome fare applicare
queste regole è complicato,è meglio autogestirsi, conoscendo meglio i rischi in
cui si può cadere. Se, infatti, si crea un problema e vogliamo farci
dimenticare per quello che abbiamo scritto, postato, taggato, il c.d. diritto
all’oblio ci aiuta ma fino ad un certo punto. Il diritto ad essere dimenticati
è un diritto riconosciuto nelle sentenza ma è tecnicamente difficile da realizzare.
Sarà riconosciuto anche nel nuovo regolamento europeo e la Corte di Giustizia
dell’Unione Europea si è portata avanti stabilendo che i cittadini europei
possono chiedere a Googledi rimuovere i risultati non più rilevanti o eccessivi
rispetto agli scopi per cui sono stati pubblicati. Si riempie un modulo e se
Google concorda, cancella il link di riferimento ,diversamente bisogna
rivolgersi ai Garanti nazionali. Anche se i costi sono modesti, la procedura
non è semplicissima.
Dunque meglio prevenire e se
siamo noi a diffondere i nostri dati attraverso i social dobbiamo essere
consapevoli,ad esempio, che su Facebook, quando ci si iscrive, il nostro nome,
automaticamente e senza consenso, è indicizzato dai motori di ricerca esterni
al network e, dunque, dati ed immagine sono visibili a qualsiasi soggetto. Così
come dobbiamo essere consapevoli che l’utente non può recedere dal servizio perché
nella pagina principale non ci sono indicazioni e bisogna accedere alla
funzione “impostazioni”per cancellare l’account.In ogni caso tutte le
informazioni, le immagini ed i dati personali restano sul server per un tempo indeterminato.
Dunque gestiamo le nostre
informazioni e, soprattutto, gestiamo bene le informazioni degli altri. Perchéi
social sono luoghi in cui si applicano le stesse regole della vita reale.
Inoltre la vostra attenzione
nell’utilizzo dei social network non
deve essere focalizzata soltanto sui rischi per la vostra e l’altrui privacy; ci sono, infatti, anche altre
(a volte gravi) conseguenze che possono derivare dall’improprio uso di questi
mezzi di comunicazione.
Innanzitutto internet non è un luogo in cui non
valgono le leggi applicabili nel mondo reale ma è, di certo, un luogo con delle
particolari caratteristiche:
-
È meramente virtuale;
-
L’accesso dell’utenza è mediato
dall’utilizzo di uno strumento informatico (pc,
tablet, smartphone, ecc.);
-
Le informazioni in esso presenti e
reperibili sono generalmente a disposizione di una pluralità indefinita di
soggetti.
Pur considerando queste sue
peculiarità, dovete avere ben chiaro che ciò che è vietato nel mondo reale è
vietato anche in internet; anzi, a
volte ciò che viene fatto sul web può
essere molto più grave dello stesso fatto ,commesso nel mondo fisico, proprio
per la particolare diffusività delle informazioni e delle notizie presenti in
rete.
Mi riferisco a tutta una serie di reati, cioè
di fatti severamente puniti dal codice penale, che vengono quotidianamente
commessi online nella ordinaria
percezione del web come un luogo ove
regna una sostanziale impunità. Invece, per capirci: acquistare (o scaricare) programmi non
originali o comprare merce di dubbia provenienza è vietato sia se lo facciate
ricorrendo al vu cumprà per strada,
sia che lo facciate ricorrendo a emule
e bittorrent o andando su ebay!
Quindi, tornando ai nostri social network, a cosa dobbiamo stare
attenti?
Principalmente a non offendere
nessuno con il nostro linguaggio: gli insulti sono, infatti, puniti dal codice
penale, integrano un reato chiamato «ingiuria»; in chat non sono libero di dire ciò che voglio, devo rispettare le
stesse regole del mondo reale.
Questo vale, a maggior ragione
per il diverso reato di «diffamazione»: se offendo qualcuno parlando di lui con
altre persone (o anche semplicemente postando un commento che tutti possono
leggere), commetto proprio questo reato; ricordatevi, poi, quello che abbiamo
detto poco fa: in internet rimane
tutto, dopo non potete dire che non è vero niente, che Tizio o Caio si è
inventato tutto: le offese rimangono lì, tutti le possono leggere, copiare o,
più semplicemente farne uno screenshot,
e anche se poi le cancellate ormai il danno è fatto!
La Cassazione, in una sentenza
recentissima, ha ribadito che la diffamazione tramite internet costituisce
un’ipotesi di diffamazione aggravata perché commessa con un mezzo idoneo a
determinare quella maggiore diffusività dell’offesa che giustifica una sanzione
più grave. E la diffamazione, nel caso concreto, riguardava la diffusione di
un’immagine privata di una donna sul web, da parte di un suo ex amico, avvenuta
attraverso un programma finalizzato alla condivisione di files.
Ci sono, poi, dei reati ancora
più gravi nei quali potete restare coinvolti senza nemmeno rendervene conto;
forse pensate che tutto sia lecito se c’è il consenso dell’interessato, ma per
i minorenni non è così. Attenti allora a scambiarvi materiale “sexy”, “osè”, chiamatelo come volete, delle vostre compagne o dei vostri
compagni di scuola. Anche se ve lo hanno mandato loro, non vuol dire che
vogliano lasciarvi condividere le immagini con altri soggetti; ma anche se lo
volessero, sappiate che il solo procurarsi o detenere questo tipo di materiale,
in cui siano coinvolti minorenni, costituisce reato. Per non parlare, poi, della cessione ad altri; e attenzione, perché
non è punita solo la cessione a pagamento ma anche quella del tutto gratuita!
Anche mandare un WhatsApp al proprio
compagno per condividere la visione di una foto o di un video può, quindi,
mettervi seriamente nei guai.
Penso, quindi, che abbiate già
la sensibilità necessaria per rendervi conto da soli che non è il caso di
“vendicarsi” della propria o del proprio ex
pubblicando in internet video o foto
compromettenti; né, tantomeno, di pubblicare video offensivi inerenti i vostri
compagni, specie se disabili. Magari crederete sia tutto un gioco, o uno
scherzo innocente, ma vi assicuro che così non è; le conseguenze possono essere
davvero gravi (e non c’è bisogno di ricordare, i recenti casi di suicidio che
si sono verificati proprio per non aver sopportato la vergogna di un video o di
alcune foto pubblicate sul web).
Non è, infine, possibile utilizzare
la minaccia di diffondere questi materiali per ottenere una qualche utilità
(soldi, ricariche telefoniche, o altro): oltre a essere una condotta veramente
deprecabile e socialmente da disprezzare, costituisce anche reato (si chiama
«estorsione»!).
Quindi i comportamenti che vi
ho descritto non solo producono irreversibili lesioni della psiche di chi li
subisce, ma in più rovinano anche la
vita di chi li pone in essere perché,
dopo i quattordici anni, tutti sono “imputabili”, ovvero processabili e condannabili proprio come
degli adulti.
Ma non solo, perché bisogna
valutare anche le conseguenze
civilistiche che i nostri comportamenti possono determinare; infatti, dalla
commissione di un reato scaturiscono anche gli obblighi al risarcimento del danno
arrecatoche graverà sui genitori visto che fino alla maggiore età sono loro i responsabili delle
conseguenze economiche delle condotte
poste in essere dai minori.
Quindi, utilizzate pure tutti
gli strumenti che la tecnologia mette a vostra disposizione, ma utilizzateli
nel modo corretto, pensando sempre alla vostra tutela ed a quella dei vostri
cari e di tutti quelli che coinvolgete nelle chiacchierate online.
Un attimo di riflessione prima di premere invio, dopo è
quasi sempre troppo tardi.
Passiamo al filmato
Ma in conclusione come e in che modo dobbiamo utilizzare I social.? Ognuno avrà una sua
ricetta : anch’io ne ho una e mi affido ad una storia per indicarvela : la racconta un giovane ricercatore inun libro che si
chiama “privacy”.filosofia e politica di un concetto inesistente”. E’ la storia
di due fratelli, molto simili tra loro fisicamente e culturalmente ma
differenti in un aspetto caratteriale non secondario. Il piccolo, molto
riservato,il secondo, più grande, decisamente socievole.Il fratello minore non
aveva un telefono cellulare, non navigava in rete , non amava per nulla parlare
di sé. Il fratello maggiore ,invece, aveva un profilo su facebook, condivideva
fotografie su Instagram, mandava messaggi con WhatsApp e Telegram, comunicava
con Skipe,aggiornava il suo blog con Wordpress,descriveva i suoi pensieri su
twitter, caricava filmati su you tube aggiornava i documenti su drop box e
consultava freneticamente il suo account gmail.
Un giorno, all’insaputa l’uno
dell’altro, vengono convocati da una grande azienda, dove avevano fatto domanda
per lo stesso posto l’uno all’insaputa dell’altro ed apprendono di non essere
stati scelti per quel posto nonostante gli eccellenti curricula. Al fratello
più piccolo fu rimproverato di non consentire di raccogliere informazioni sul
suo conto, al di là del curriculum. “Sembra che lei non esista, il suo nome non
è neppure su Internet, non sappiamo nulla di come lei è, al di là di quello che
ci vuol far sapere attraverso il suo curriculum.” Al fratello più grande fu
rimproverato di consentire la raccolta di troppe informazioni sul suo conto.“Di
lei sappiamo tutto. Chi frequenta, dove è stato in vacanza, i suoi hobby, l’immagine
della sua prima fidanzatina alle elementari. E la nostra azienda non si fida né
delle persone di cui non sa nulla perché potrebbero avere qualcosa da
nascondere né di quelle che fanno sapere troppo di sé perché potrebbero non essere
in grado di mantenere un segreto.
Brindisi li, 3 Marzo 2015
Vice Presidente
Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali
Dott.ssa Augusta Iannini
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